La questione, chiacchiere a parte, è piuttosto semplice: il nostro ordinamento prevede per ciascuna fattispecie di reato una pena, che a sua volta viene comminata da un giudice al termine di un processo. Una volta scontata quella pena, il soggetto che aveva commesso il reato si considera completamente riabilitato, a meno che il giudice, sempre sulla scorta della legge, non abbia ritenuto di applicare anche una o più pene accessorie (l’interdizione dai pubblici uffici, la perdita della potestà genitoriale, l’interdizione legale e via discorrendo).
Da ciò scaturisce una conseguenza elementare: chi va salmodiando che nonostante la pena sia stata scontata, e nonostante il giudice non abbia ritenuto di applicare pene accessorie, a questo o quel soggetto debba essere impedito di ricoprire determinati incarichi o di svolgere certe professioni, esprime un parere che si colloca al di fuori della legge.
Cioè, volendo usare le parole per ciò che esse significano, assume un atteggiamento eversivo.
La cosa paradossale è che generalmente chi si fa portavoce di simili istanze si appella a categorie come la ragionevolezza: Scattone ha interamente scontato la pena e non è stato interdetto dall’insegnamento, ma impedirgli ugualmente di mettere piede in un’aula scolastica risponderebbe nientepopodimeno che al “buon senso”.
Quanto a spiegarci in che modo un supplemento di pena inflitto al di fuori di quanto prevede l’ordinamento giuridico, e quindi non si capisce bene da chi, in che termini e secondo quale procedura, possa considerarsi una misura di “buon senso”, gli autori del piagnisteo non si pronunciano: limitandosi a evocare non meglio precisati “imperativi” cui sarebbe necessario uniformarsi anche se l’ordinamento, vale a dire lo stato di diritto, non li prevede.
Ora, sarebbe appena il caso di far notare a costoro che se le cose funzionassero davvero come essi auspicano verrebbe meno ogni certezza giuridica che, vivaddio, caratterizza la nostra vita: giacché ciascuno di noi, in una situazione simile, potrebbe essere imprevedibilmente punito per motivi che risiedono in non meglio identificate istanze di “senso comune”, che in quanto tali si collocano completamente al di fuori delle norme di legge per ricadere drammaticamente nel campo incerto delle opinioni soggettive.
Ora, la domanda è la seguente: è questo il paese che volete?
Benissimo. Voglio dire, è legittimo.
Abbiate almeno la compiacenza, però, di lasciar perdere le fregnacce sul buon senso: e di dichiarare, una volta per tutte, che le vostre sono istanze eversive dell’ordine costituito.
Così, tanto per rendere chiaro a tutti con chi abbiamo a che fare.
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Gli eversori che si appellano al “buon senso”
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